FASHIONTHEATER a MODENA

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FASHIONTHEATER a MODENA

FashiontheatER finalmente in pista!

Ore 5.50 suona la sveglia a non ci voglio credere. Il caffè non basta a farmi attivare completamente il cervello.
La macchina è già stata caricata, il baule straripa di materiale fotografico, cavalletti e faretti di vario genere, qualche telo e piedistalli. Ho i due manichini, Jean-Claude e Violetta, stesi sul sedile di fianco al guidatore, una sopra l’altro in posizione vagamente equivoca. Schivo le proteste di papà Fashiontheater che vorrebbe imporre un lenzuolo per coprirli perché sono sconci e vado a prendere Barbara Fashiontheater.
Sono le 6 e 30 e a quell’ora mi esprimo ancora solo a grugniti.
Destinazione: Modena, Teatro Comunale Pavarotti.
La nostra prima missione è incontrare in periferia, nel capannone che funge da magazzino del teatro, il signor Alessandro, responsabile di sartoria.
L’alba non è ancora spuntata, le strade però cominciano a brulicare, l’autostrada è già murata di camion impegnati in reciproci, improbabili ed estenuanti sorpassi.
Arriviamo a Modena addirittura in anticipo, meglio fare colazione.
Al bar la brioche più invitante è una sfoglia che straripa di crema, chiediamo entrambe quella e il barista ci conferma la validità della scelta: “Eh, questa certo che è buona, è la Luisona!”.Il fatto che si sia meritata un nome proprio e addirittura un accrescitivo, mi conforta, da’un senso di opulenza. E in effetti è spettacolare.
Arriviamo al capannone contemporaneamente all’auto “griffata” Teatro Comunale di Modena. Il signor Alessandro, laconicamente ma con molta efficienza, apre il capannone e, poiché è privo di corrente elettrica, comincia a tirare cavi dai capannoni vicini. Anche quelli, scopriremo poi, sono del Teatro Comunale e al loro interno lavorano i falegnami che costruiscono i fondali per le scenografie e le altre architetture di scena. Aprendo la piccola porta azzurra del grigio capannone di lamiera, un mondo incantato di alberi di legno e casette, scalinate e torrette si rivela tra una nebbia di segatura. Una specie di armadio di Narnia, ma mooolto più grande!
Iniziamo anche noi celermente il montaggio dell’attrezzatura. Ad essere sinceri è Barbara che apre le custodie, estrae aste e allunga cavalletti, monta lampade che da chiuse sembravano ombrelli tascabili, avvita lampadine, allunga e fissa sostegni per il fondale bianco, sistema il suddetto fondale che pensavo fosse un lenzuolino, accende faretti e comincia a cercare l’assetto giusto della macchina fotografica. E io? Beh, arranco, svitando cose che non dovevano essere svitate e facendo qualche foto senza un vero perché con il tablet.
Mi giustifico dicendo che farà sicuramente figo avere il “backstage”, il racconto fotografico dell’intera avventura e bla bla bla..sono molto brava nel bla bla bla.

Nel capannone soppalcato ci sono scatoloni e scatoloni e scatoloni (a occhio un ottantina) e armadi stile ottocentesco con le ruote che sembrano usciti dal film The Prestige, pieni zeppi di costumi. Appare subito evidente che dovremo fare una cernita…in questo ci aiuta il signor Alessandro, che apre con cognizione di causa solo le scatole giuste.
Va do a prendere Jean Claude e Violetta che ancora amoreggiano in macchina e iniziamo a vestirli. Sono manichini molto antropomorfi, hanno la testa, le braccia e le mani in poliuretano che si possono mettere in varie pose, le gambe con ginocchia pieghevoli e i piedi. Non sono svitati all’altezza dell’anca, però, per cui non possono allungare le gambe in avanti (motivo per cui non stavano seduti in auto, ma solo sdraiati), quindi è un po’ complicato anche vestirli. Il signor Alessandro, per sveltire le operazioni, decide di andare a prendere un terzo manichino in Teatro, di quelli tipici da sartoria che hanno solo il busto.

In un paio d’ore passano sotto i nostri occhi i protagonisti del trittico di Puccini: Gianni Schicchi, il Tabarro e Suor Angelica, e poi le bellissime fatine dell’opera per bambini, i guerrieri della Turandot, Ping, Pong, Pang, Timur, Liù…ma purtroppo non lei, Turandot, perché il costume è di pura seta bianca candida ma il magazzino è tutt’altro che immacolato e c’è il forte rischio di impolverarlo. Peccato perché la descrizione del kimono con fibre ottiche (!!!) ci aveva incuriosite un sacco.

È già l’una, ora di pausa . Abbiamo appuntamento alle 15.00, stavolta all’interno del Teatro Comunale. Ci spostiamo quindi verso il centro di Modena, un po’ affamate. Ma in Emilia non si muore mai di fame, entriamo nel primo bar che serve anche piatti cucinati al momento e prendiamo frittelle di baccalà e insalata condita con buon aceto balsamico (e dove se non qui??!!), poi facciamo un giro sul Corso sbirciando le vetrine dei negozi ancora chiusi e infine ci dirigiamo verso il teatro.
Ci attende Gianmaria Inzani,responsabile degli allestimenti scenici, che scopriamo essere piacentino come noi, che ci porta subito a scoprire le meraviglie del teatro…la sartoria vicino al loggione, i camerini, il soppalco che serve a manovrare luci e fondali sul palco, il palco stesso… Non possiamo fare a meno di fotografare la platea con i suoi velluti rossi e decori oro dal palco. Infine la sala scenografia, una delle ultime rimaste in Italia, dove vengono dipinte le enormi tele.

modena 2
Ci spostiamo nell’anticamera del loggione, dove sono esposti alcuni costumi, riaccendiamo le luci e siamo di nuovo pronte a scattare.
Ci sono fatine e streghe con cappelli decorati con veri corvi impagliati (inquietante..sì lo so!), materiali preziosi e dettagli imprevedibili.
Un ultimo scatto ai tetti di Modena, che si vedono dalle piccole finestre e ripartiamo. Nel parcheggio la signora dell’auto di fianco alla nostra sta fissando i manichini con aria incredula. Noi fingiamo che sia la cosa più normale del mondo, buttiamo i cavalletti nel baule e via verso la nostra Piaseinza, che ci aspetta domani mattina con i suoi tesori nascosti nel Teatro Municipale..
To be continued………

 

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